Liturgia della Parola
19 Ottobre - XXIX Domenica del tempo ordinario/C

Senza alcuna pretesa di diventare
grande. Solo colma di quella gratitudine che salva la vita: così la fede ha bisogno
di essere, assicuravano le parole del vangelo, in queste domeniche. Resta però
un problema, tutto racchiuso in una sferzante domanda di Gesù, posta al termine
dell’odierna liturgia domenicale: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà,
troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). La prima cosa da verificare – sembra
dirci il vangelo – è misurare il grado di insistenza con cui siamo soliti
restare nell’arte e nella fatica della «preghiera» (18,1). La «parabola» (18,1)
della «vedova» che assilla «un giudice» abietto, «che non temeva Dio né aveva
riguardo per alcuno» (18,2.4) appare abbastanza eloquente. Proprio a causa
della sua petulanza, questa donna rimasta senza marito riesce a convincere il giudice
a soddisfare la sua richiesta: «Dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le
farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi» (Lc 18,5). Ma
cosa ha reso questa vedova tanto pervicace nella sua richiesta? La vedova era
cosciente di avere un «avversario» da combattere, così come il diritto a
ricevere una «giustizia» (18,3). Da questa scomoda, ma lucida consapevolezza scaturisce
la sua incrollabile tenacia. Il Signore Gesù applica l’immagine di questa
parabola alla realtà della preghiera, per dire «ai suoi discepoli» che è
necessario «pregare sempre, senza stancarsi mai» (18,1). Forse a volte perdiamo
coscienza del fatto che il respiro del nostro essere cristiani — la preghiera —
non può che essere anche combattimento contro un «avversario» o, meglio ancora, contro un mare di avversità che
sperimentiamo attorno e, soprattutto, dentro di noi. Anche perché pregare non
significa soltanto rimanere, a parole o in silenzio, «davanti a Dio» (2Tm 4,1).
Pregare vuol dire pure assumere con responsabilità il peso della realtà in cui
la nostra vita si gioca insieme a quella degli altri. L’immagine offerta dalla
prima lettura è suggestiva: «Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma
quando le lasciava cadere, prevaleva Amalek» (Es 17,11). Mentre Israele
combatte contro il temibile esercito degli Amaleciti, Mosè sfida la fatica e la
stanchezza per rimanere con le mani alzate verso il cielo «fino al tramonto del
sole» (17,12) a implorare il sostegno di Dio, che risponde facendo «giustizia
ai suoi eletti» (Lc 18,7): «Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli
poi a fil di spada» (Es 17,13). La preghiera diventa presto o tardi
combattimento perché esistono innumerevoli nemici da affrontare, che non sono
mai le cose o le persone quando non corrispondono alle nostre aspettative e
alla nostra mentalità, ma quelle parti del nostro cuore ancora chiuse nell’egoismo
e nella paura. A ben vedere, il segreto della vedova sta anche altrove, precisamente
nella sua ostinata convinzione di avere diritto a ricevere una giustizia. Nella
semantica ebraica, la giustizia non è tanto il frutto di un’operazione forense,
che cerca di assicurare a ciascuno il suo diritto lasciando però una grande sperequazione
nella realtà. La giustizia biblica è salvezza di vita, pienezza, felicità. Più
che un sostantivo è un avverbio, che il Signore garantisce a tutte le sue
creature, cominciando da quelle più deboli e indifese: il povero, la vedova e
lo straniero. La nostra fede diventa capace di non arrendersi, nelle
contraddizioni e nelle contrarietà della vita, solo quando è accompagnata dalla coscienza che noi siamo
sempre «meritevoli» di una giustizia da parte di Dio. Avere intuizione della
grandezza a cui siamo destinati e, al contempo, delle molteplici avversità che
quotidianamente ostacolano questo cammino, è l’illuminazione interiore che
trasforma la nostra fiducia in una preghiera umile, faticosa e incessante.
Davanti a quel Dio che non ci farà «aspettare a lungo» (Lc 18,7) ma, sia nel «momento
opportuno» sia in quello «non opportuno» (2Tm 4,2), non si stanca di condurci
verso «il suo regno» (4,1) per offrirci gratuitamente il suo amore, «la
salvezza, che si ottiene mediante la fede in Gesù Cristo» (3,15).
Riflessioni di Padre Roberto Pasolini
5 Ottobre

12 Ottobre

